L'identità del bambino con le mani alzate sulla destra non è nota con certezza. L'ipotesi sono attualmente tre: 1) Artur Siemiatek; 2) Tsvi Nussbaum; 3) Levi Zelinwarger. La prima è la più probabile perché una donna polacca, Jadwiga Piesecka, e suo marito Henryk Piasecki in due dichiarazioni — firmate rispettivamente il 24.01.1977 e 28.12.1978 — danno al bambino l'identità di Artur Siemiatek, figlio di Leon Siemiatek e Sara Dab. Il ragazzino aveva otto anni essendo nato a Lowicz nel 1935. La fine della famiglia Siemiatek non è nota. Tsvi Nussbaum asserisce di essere il bambino nella foto, ma lui fu arrestato il 13 Luglio 1943 fuori dal ghetto (ormai liquidato da tre mesi); comunque il raffronto fra l'immagine del bimbo ed una sua del 1945 è abbastanza somigliante. Infine nel 1999 Avrahim Zelinwarger, allora 95enne, disse che quel bambino era suo figlio Levi (11 anni) e la donna a sinistra la moglie Chana. L'uomo ritiene che i suoi congiunti insieme alla figlia Irina (9 anni) siano periti in un campo di concentramento nel 1943.

 

Hanka Lamet nata nel 1937 a Varsavia fu gasata a Majdanek; probabilmente anche sua madre Matylda Lamet Goldfinger fece la stessa fine.

 

Il ragazzo con il sacco bianco sulla spalla è stato identificato da sua sorella, Hana Ichengrin, come Leo Kartuzinsky.

 

La donna con la mano alzata davanti ad un soldato tedesco è identificata dalla nipote Golda Shulkes,come Golda Stavarowski.

 

Il destino di quest'ultime due persone non è noto, ma con tutta probabilità sono stati deportati e uccisi.

 

Il soldato tedesco che punta il suo fucile verso il bambino è stato poi identificato come Joseph Blösche. Era un Rottenführer (caporale) delle SS "responsabile" del ponte di legno che divideva i due settori del ghetto di Varsavia |mappa|. Talvolta sparava senza preavviso alle persone che attraversavano il ponte; spesso abbatteva — con la sua pistola mitragliatrice MP18.1 — i bambini che si avvicinavano troppo al muro sottostante. Per quella mostruosa peculiarità e il suo sadismo si guadagnò il soprannome di ‘Frankenstein′. Blösche (nato il 05.02.1912) entrò nei servizi segreti delle SS (Sicherheitsdienst der SS) nel 1938 e si occupò di retate e stermini nella Polonia occupata. Per la distruzione del ghetto ottenne una croce di merito di seconda classe. Invece non partecipò alla successiva repressione della rivolta di Varsavia — dall'Agosto all'Ottobre 1944 — perché venne trasferito all'estremo ovest della città dove non c'erano combattimenti. L'inverno lo passò a Levoca combattendo contro i partigiani che si nascondevano nei boschi e nelle montagne. Nell'Aprile 1945 da Zilina (Slovacchia) raggiunse  il vicino confine polacco; l'Armata stava dilagando e Blösche come molte altre SS cercò di farsi passare da civile sfollato. Ad inizio Maggio cadde in mano sovietica presso Ostrau in Moravia. Come prigioniero di guerra fu trasferito a piedi verso Vienna, poi a Giugno in treno verso Sighetu Marmatiei (un campo di transito in Romania). Da lì passò per Mosca, Dnipropetrowsk (Ucraina) ed infine Kirawobad in Azerbaijan. Insieme agli altri prigionieri di guerra venne impiegato nella costruzione di strade e nell'industria mineraria. Il 6 Agosto 1946 rimase gravemente sfigurato dall'esplosione di una mina e stette ricoverato in ospedale fino al Giugno 1947, quando gli fu concesso di tornare a casa. Dal 20 Gennaio 1948 lavorò in una miniera nella regione della Turingia, territorio tedesco sotto occupazione sovietica. In seguito Blösche, che nel frattempo si sposò ed ebbe due figli, visse senza essere riconosciuto; anche per questo non sentì l'esigenza di cambiare nome. In ogni caso non accennò mai i suoi trascorsi passati. Nel 1961 un ex SS sotto processo per crimini di guerra ad Amburgo collegò Blösche alle atrocità commesse a Varsavia. Nel Maggio 1965 la corte distrettuale di Amburgo emise un mandato di arresto contro di lui. Nell'Aprile 1966 il fascicolo venne trasferito dall'ufficio della pubblica accusa di Amburgo all'autorità della DDR (la Germania Est). L'11 Gennaio 1967 Blösche fu arrestato dalla Stasi e tradotto in prigione. Il processo iniziò nel Marzo 1969 presso il tribunale di Erfurt in Turingia; l'accuse erano di crimini di guerra e contro l'umanità. Dieci superstiti del ghetto di Varsavia ebbero problemi ad identificarlo per le cicatrici in faccia, ma quella famosa foto dell'Aprile 1943 fu sufficiente ad inchiodarlo. Il 30 Aprile il tribunale lo riconobbe colpevole della deportazione di circa 300.000 persone e dell'uccisione di almeno 2000 per sua stessa mano. Questi eccidi di massa li aveva perpetrati quando era nel Einsatzkommando 8 e nella Sipo Warschau (la polizia di sicurezza di Varsavia). In particolare il 19.04.1943 le SS massacrarono 600 persone nel Ghetto e lo stesso Blösche sparò ad almeno 75. Secondo quanto previsto dal codice penale della DDR la pena per questi crimini era la morte. Il condannato fu trasferito nella prigione statale di Lipsia. L'esecuzione avvenne il 29 Luglio 1969 nello stesso modo che Blösche preferiva a suo tempo: colpo alla nuca. Il cadavere fu poi cremato e le ceneri sepolte in maniera anonima nel cimitero cittadino. Jürgen Stroop nei giorni seguenti alla liquidazione del ghetto compilò un meticoloso rapporto di 75 pagine e 49 foto intitolato “Il ghetto di Varsavia non esiste più”. Dell'album fotografico ne furono fatte tre copie, di cui una tenuta da Stroop. Arrestato nel Maggio 1945 dagli americani fu processato da un tribunale militare a Dachau. Il suo rapporto fu usato al processo di Norimberga come inoppugnabile prova dei crimini commessi ai danni degli ebrei durante l'occupazione nazista di Varsavia. Stroop fu condannato a morte il 21.03.1947 per l'uccisione di alcuni aviatori americani. Prima dell'esecuzione fu estradato in Polonia e processato per i crimini commessi durante la liquidazione del ghetto. La sentenza fu pronunciata il 18.07.1951 ed eseguita il 06.03.1952 per impiccagione proprio dove sorgeva il ghetto di Varsavia.

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Edward Adrian Wilson nato il 23.07.1872 era un medico con la passione per l'ornitologia; partecipò alla prima missione in Antartide di Scott nel 1901-04 (la “Discovery”). Lo seguì anche nella successiva missione (la “Terra Nova”). Il 02.11.1911 partì con Scott e undici compagni da Hut Point sull'isola di Ross verso il polo Sud. Il 04.01.1912 Scott l'aggregò nel gruppo che avrebbe raggiunto i 90°00’; ciò avvenne il 18 Gennaio ma Roald Amundsen li aveva proceduti di trentuno giorni. La via del ritorno fu caratterizzata da un freddo inusuale, fatica, carenza di cibo, la luce accecante del Sole che non tramontava, violente bufere di vento, superficie su cui la slitta non scorreva. Il 29 Marzo erano rimasti in tre e si trovavano da nove giorni inchiodati nella tenda a circa 18 km dall'One Ton Depot, un grande deposito di cibo allestito. La morte sopraggiunse probabilmente lo stesso giorno per assideramento. Il successivo 12 Novembre la squadra di ricerca trovò la tenda di Scott: il corpo di Wilson era dentro il suo sacco a pelo con la zip chiusa fino in cima. Anche il suo corpo fu sepolto dentro la tenda con quelli dei due compagni. Sul luogo della sepoltura, un cumulo di neve, fu posta una 'X' composta con degli sci incrociati. Robert Falcon Scott (nato il 06.06.1868) giunse al polo Sud insieme ai quattro compagni il 18 Gennaio 1912, ma con trentuno giorni di ritardo sul rivale Roald Amundsen. Il 29 Marzo scrisse l'ultima annotazione sul diario mentre era nella piccola tenda squassata da vènti violentissimi ad almeno 50 °C sottozero. Probabilmente la morte sopraggiunse il 29 o 30 Marzo. La spedizione di soccorso arrivò sul posto il successivo 12 Novembre. Il sacco a pelo di Scott era aperto ed il suo braccio destro cingeva Wilson. Lawrence Titus Oates nato il 17.03.1880 partecipò solo alla spedizione del 1910. Anche lui come Wilson, Bowers, Evans era stato scelto il 04.01.1912 per il gruppo che doveva raggiungere il polo Sud. La traversata fu un vero calvario, a Oates gli si congelò un piede: lo doveva tenere fuori dal sacco a pelo per evitare dolori lancinanti se gli si fosse scongelato. Il gruppo avanzava molto lentamente perché Scott non voleva lasciare nessuno indietro. Oates si accorse che le sue condizioni sempre peggiori potevano mettere a repentaglio le flebili speranze di salvezza dei tre compagni rimasti (Evans era morto il 17 Febbraio). A 49 km circa dal deposito, la mattina del 17 Marzo Oates si svegliò e dopo aver detto «Io esco, ma può darsi che resti via per un po'» uscì dalla tenda e s'avviò nella tormenta. I suoi compagni avanzarono fino a 18 km dall'One Ton Depot prima di essere inchiodati da una violentissima tempesta. La morte arrivò per congelamento il 29 o 30 Marzo dopo almeno nove giorni di impotente attesa. Edgar Evans nacque nel 1876, nel 1899 si trovava a bordo della Majestic dove Ross era tenente di vascello. Evans partecipò alle missioni del 1901-04 e quella del 1910. Insieme a Scott e tre compagni raggiunse il polo Sud il 18.01.1912, ma Amundsen era già arrivato (esattamente il 14.12.1911). Nel tragitto di ritorno le sue condizioni fisiche e mentali peggiorarono rapidamente; gli si congelarono il naso e le dita. Il 17 Febbraio ebbe un collasso mentre marciava ormai stremato tanto che riusciva a procedere solo a carponi. Subito soccorso dai compagni era già in coma quando fu portato in tenda; morì in serata e fu sepolto nei paraggi. Henry Robertson Bowers nato nel 1883 come già ricordato faceva parte del gruppo d'assalto al Polo. Il 29 Marzo 1912, a meno di 18 km dal deposito e 238 dalla base di Hut Point, Evans si trovava con Scott e Wilson in una tenda nel mezzo di una bufera di vento e neve. Erano lì da almeno nove giorni e ormai il freddo intenso, la fame, il congelamento, lo scorbuto, la fatica li avevano stroncati. La morte sopraggiunse probabilmente il 29 Marzo, giorno dell'ultima annotazione di Scott sul suo diario. Una missione di soccorso trovò la tenda il successivo 12 Novembre. Evans era ancora nel suo sacco a pelo, completamente congelato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'uomo con la pistola è Giovanni Santone, agente di Pubblica Sicurezza in forza alla Squadra mobile di Roma. Il poliziotto era "in borghese" (maglia a righe, jeans e borsa Tolfa); quella mattina, lui ed altri colleghi della sezione politica diretta da Umberto Improta, erano stati aggregati alla Digos. L'obiettivo era quello di controllare lo svolgimento della manifestazione pacifica dei Radicali a cui si sarebbero però aggregati membri della cosiddetta sinistra extraparlamentare. Per saperne di più su ciò che accadde nel centro storico della Capitale quel 12 Maggio 1977 clicca qui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il ragazzo (allora 18enne) che fugge è Walter Grecchi, studente dell'istituto tecnico commerciale “Carlo Cattaneo” di Milano. Quel giorno i militanti di AO protestavano contro l'arresto degli avvocati di Soccorso Rosso” e l'uccisione due giorni prima a Roma di Giorgina ‘Giorgiana’ Masi. Per la maggior parte di loro era il battesimo di fuoco. Fra questi, il 19enne Marco Barbone, oltre a portare le armi in un borsone, sparò con un fucile a canne mozze che ferì gravemente l'edicolante Marzio Golinelli. Lo studente alla Statale nel 1980 fondò la Brigata XXVIII Marzo” che il successivo 28 Maggio uccise a Milano il giornalista Walter Tobagi [clicca qui]. Anche lui entrò nel secondo filone (1989) dell'inchiesta sull'omicidio dell'agente Custra. Solo nel 1987 il giudice istruttore Guido Salvini vedendo le foto realizzate da Paolo Pedrizzetti, un architetto e reporter 30enne, decise di saperne di più. Pedrizzetti quel pomeriggio scattò rullini su rullini e si nascose all'ultimo piano di un caseggiato. Paola Saracini, che gli era vicino, dovette aprire la sua macchina fotografica sotto la minaccia della pistola puntata da Memeo. Nei giorni successivi gli autonomi di AP rintracciarono gli autori e sequestrarono quasi tutti i rullini. Quelli in mano ad Antonio Conti, un fotografo vicino ad Ap e parente di Oreste Scalzone, furono lasciati al suo proprietario e così li tenne per se. Il giudice Salvini da Pedrizzetti arrivò a Conti; nella perlustrazione del suo appartamento vennero ritrovati i rullini. Dal loro sviluppo, foto dopo foto, fu delineato il cosiddetto gruppo di fuoco". Il 22 Settembre 1990 dodici persone (fra cui Pietro Mancini, Raffaele Ventura, Giuseppe Memeo, Giancarlo De Silvestri, Maurizio Gibertini, Luca Colombo, Enrico Pasini Gatti, Mario Ferrandi) furono rinviate a giudizio per concorso in omicidio volontario. Marco Barbone, secondo quanto previsto dal nuovo Codice penale, chiese il patteggiamento e venne così giudicato separatamente. Il 10 Ottobre 1990 patteggiò  un anno e due mesi di reclusione ¦fonte¦. Il sostituto procuratore generale Luigi Martino fece ricorso in Cassazione e questa annullò la condanna. Comunque il 27 Giugno 1991 nel nuovo processo per rito abbreviato, Barone fu condannato sempre a quattordici mesi di reclusione ¦fonte¦. Grazie all'indulto del 1986, al fatto di essersi pentito nel processo per l'omicidio Tobagi, al rito abbreviato Barbone non tornò in carcere. Tornando a quel pomeriggio del 14.05.1977, Grecchi gettò una molotov che mancò per poco Memeo, ma non sparò alcun colpo di pistola: non l'aveva. Una settimana dopo il gruppo ripreso nelle foto fu arrestato dalla polizia. Nel primo processo terminato nel 1982 Grecchi fu condannato a 14 anni per concorso in omicidio con ignoti. Ne scontò tre e mezzo poi scappò in Francia; nel 1990 chiese la grazia che gli fu respinta. Intanto il 31 Ottobre 1989 fu perquisita la casa di un fotografo, Antonio Conti, che in quel tragico pomeriggio si trovava dal lato opposto della strada seminascosto da un albero. Vennero così rinvenuti trenta negativi, che uniti a quelli dei tre fotografi presenti sul posto permisero di individuare ogni persona e di attribuirne la responsabilità. Il 26 Agosto 2007 l'uomo in un'intervista a Repubblica ha annunciato l'intenzione di richiedere la grazia al Presidente della Repubblica. In ogni caso è inserito nella lista dei 14 "superlatitanti" per cui l'Italia chiede l'estradizione alla Francia.  Il ragazzo che fugge sulla sinistra è Massimo Sandrini; arrestato insieme a Grecchi e Azzolini, fu condannato per concorso in omicidio con ignoti.  Il ragazzo sulla destra che punta a due mani una Beretta calibro 22 ad altezza d'uomo è Walter Azzolini. Solo nel 1987 si seppe che quel pomeriggio a Milano c'erano altre tre 7,65: nelle mani dei "dirigenti" Marco Ferrandi e Enrico Pasini Gatti; l'altra non fu mai ritrovata. ‘Coniglio’, così era soprannominato Ferrandi, ordinò ad un gruppo di ragazzi (estremisti romani che sarebbero usciti da Lc) di farsi avanti. L'assassino di Custra potrebbe essere Ferrandi, lo ipotizzò lui stesso; comunque nel processo dichiarò di aver sparato due colpi senza mirare. Nel 2007, trent'anni dopo quei fatti, incontrò Antonia (la figlia di Antonio Custra) ¦fonte¦. Nel Maggio 2014 Ferrandi ha ottenuto la "piena riabilitazione" cioè ha di nuovo tutti i diritti civili ¦fonte¦.La figura di un dimostrante in passamontagna con le gambe divaricate e le braccia tese a impugnare con ambo le mani una calibro 22 contro la polizia è Giuseppe Memeo. L'allora 18enne era un esponente di AO e dei PAC. Nel 1979 uccise un orefice, un agente della Digos e mandò sulla sedia a rotelle un adolescente. Giuseppe Memeo lavora al “Poiesis”, il centro del gruppo Exodus per la cura dell'aids. Il racconto di ciò che successe quel 14 Maggio 1977 a Milano è a questo LINK, dove c'è anche l'intervista alla persona che uccise Antonio Custra. L'agente 25enne morì dopo un giorno di coma, era sposato da poco più di sei mesi e sua figlia nacque il 1° Luglio 1977. Paolo Pedrizzetti fece in tempo a nascondersi in un androne e salire all'ultimo piano; poi consegnò il rullino ai giornali e alla polizia. Per questo fu ripetutamente minacciato. Paola Saracini, che era vicino a Pedrizzetti, non ce la fece a scappare e dovette aprire la sua macchina fotografica sotto la minaccia della pistola puntata da Memeo. Un altro fotografo, Marco Bini, scattò molte foto; ma pochi giorni dopo venne minacciato pesantemente e gli furono portati via i rullini. Walter Azzolini è dipendente comunale nel settore Educazione; nel 2012 è stato nominato capo di gabinetto del vicesindaco di Milano, Maria Grazia Guida. Il Pdl, opposizione in Giunta, ha chiesto alla donna (indicata dal Pd) di mandare via Azzolini. Nessuna replica è arrivata dal sindaco Pisapia e dal vicesindaco. Paolo Pedrizzetti nel 1978 insieme a Davide Mercatali iniziò a lavorare come designer di prodotti industriali. Nel 1988 insieme alla moglie Raffaella Matti aprì uno studio associato a Milano; continuò così a fare il product designer impegnandosi anche in alcune riviste di settore. Dal 2003 al 2008 fu membro della sezione decentrata di Novara della Commissione per la Tutela e la valorizzazione dei Beni culturali e ambientali della Regione Piemonte. Verso le 15:30 del 17 Dicembre 2013, mentre appendeva le luminarie di Natale sul balcone di casa ad Arona (Novara), l'uomo ha perso l'equilibro cadendo nel vuoto. La moglie per tentare di afferrarlo l'ha seguito fino al suolo, sette piani più in basso. La morte per i coniugi, entrambi 66 anni lui, è stata istantanea. Antonia ‘Tonia’ Custra è morta, appena 40enne, a Napoli il 17 Agosto 2017. Era malata di tumore da un anno ¦foto tratta dalla sua pagina Fb¦.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Emanuela Setti Carraro nacque a Borgosesia (Vercelli) il 09.10.1950; era figlia di Antonia Setti Carraro, capogruppo di crocerossine durante la Seconda guerra mondiale. Come la madre si diplomò infermiera all'ospedale “Principessa Iolanda” di Milano per divenire poi volontaria della Croce. Si sposò con Carlo Alberto Dalla Chiesa il 10 Luglio 1982 in un chiesetta di Ivano-Fracena a Levico (Trento). Qualche minuto dopo le 21 di venerdì 3 Settembre Emanuela, arrivata un'oretta prima alla prefettura di Palermo, fece si mise alla guida di un'A112; accanto gli sedeva il marito. L'agente della Polizia addetto alla scorta, Domenico Russo, li seguì con l'Alfetta di servizio [non blindata]. Le due macchine uscirono da Villa Whitaker, sede della prefettura. La destinazione della coppia era Villa Pajno, la residenza dove vivevano. Come dichiarato da un finanziere, amico di Domenico Russo, appena le macchine superarono la caserma della Finanza in piazza Sturzo, una moto Suzuki s'accodò ad una certa distanza. Poi da piazzetta Nascè, altre due automobili (una Bmw 520 ed una Fiat 132) partirono dal lato destro per immettersi in via Isidoro Carini [il prolungamento della piazzetta]. L'agguato era stato meticolosamente preparato in ogni dettaglio dopo giorni e giorni di appostamenti. La moto superò l'Alfetta ed il passeggero in sella sparò con un Kalashnikov verso Domenico Russo; questi fece appena in tempo a prendere in mano la pistola [risultò sfregiata da un proiettile]. Colpito alla testa, s'accasciò sul volante; l'auto proseguì fino a spegnersi. Alcune fonti riferirono che colpì l'A112 o che s'incendiò; altre addirittura scrissero che l'agente sarebbe sceso per affrontare i sicari! Questa è una foto dell'Alfetta dal lato passeggero; manca qualsiasi segno d'incendio; il liquido in basso dovrebbe essere olio. Invece in quest'altra foto, si può notare come è appoggiata di traverso ad un'altra auto. Intanto la Bmw affiancò da destra l'A112, il passeggero davanti sparò dal suo finestrino sempre con un Kalashnikov. Emanuela venne ferita al torace e alla testa, così perse il controllo dell'auto che si fermò con le ruote contro il cordolo del marciapiede. Il marito aveva tentato di fargli scudo ma non servì perchè subito dopo si scatenò un inferno di fuoco: decine di colpi provenienti da più direzioni crivellarono l'A112. Infine un ultimo sicario scese e da distanza ravvicinata colpì da distanza ravvicinata solo per deturparne i lineamenti del viso. La prima pattuglia, nome in codice ‘Pretoria’, arrivò sul posto dopo una telefonata al 113 (fatta alle 21:10). A questo url si può vedere un servizio filmato con riprese fatte pochi minuti dopo. In queste viene inquadrata l'Alfetta di scorta; ci sono fori di proiettile nella carrozzeria, però sul lato guida. La mattina dopo in via Carini sul muro davanti al luogo dell'eccidio comparve un cartello con la scritta: Qui è morta la speranza dei palermitani onesti [vedi]; l'autore/autrice è tuttora sconosciuto/a. Intanto, già alle 3 di sabato 4, le bare con le salme sono nella camera ardente allestita in tutta fretta (dall'autorità locali) al primo piano di Villa Pajno. I funerali di Stato si tennero alle 15, nemmeno 18 ore dopo l'omicidio, nella chiesa di San Domenico; il rito funebre fu officiato da Salvatore Pappalardo, arcivescovo di Palermo dal 1970. I funerali in forma privata vennero poi celebrati dall'arcivescovo Martini lunedì 6 nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano. Il Parlamento italiano approvò la cosiddetta legge Rognoni-La Torre il 13 Settembre; praticamente vennero configurati sia il reato di associazione mafiosa che la misura di confisca dei beni appartenenti ai mafiosi. Fino allora poteva essere applicato solo l'articolo 416 del Codice penale; così arrivò anche il 416 bis. Domenico Russo fu trovato esamine al volante del'auto, ferma una decina di metri dietro l'A112. Trasportato all'ospedale Villa Sofia, venne subito operato alla testa ma era già in coma profondo; spirò dopo tredici giorni alle 10:20 del 15 Settembre. L'agente scelto era nato a Santa Maria Capua Vetere (Caserta) il 27.12.1950; prestava servizio in polizia da 13 anni. Lasciò la moglie 26enne e due figli, di 2 e 4 anni. A questo url c'è il pdf della sentenza della Corte d'assise di Palermo del 22.03.2002. La maggior parte dell'informazioni sulla dinamica dell'eccidio sono state tratte da quel documento.

 

 

 

 

 

 

Il comitato interministeriale (costituito dal Presidente del Consiglio Spadolini, dal ministro dell'Interno Rognoni, Formica, Di Giesi e Altissimo) il 26 Marzo 1982 nominò Carlo Alberto Dalla Chiesa prefetto di Palermo. Fu Pio La Torre a suggerire a Spadolini il nome del generale dell'Arma. Questi arrivò nel capoluogo siciliano il 2 Maggio, invece che il 6, perchè il 30 Aprile dei sicari avevano ucciso La Torre e il suo segretario. La "battaglia" contro la mafia del 58° prefetto fu impari per mancanza di poteri, mezzi e personale da parte dello Stato. Comunque come primo atto Dalla Chiesa cacciò alcuni funzionari prefettizi vicini ad ambienti mafiosi. Per la cronaca, il 59° prefetto di Palermo Emanuele De Francesco — li richiamò in servizio. Il 10 Agosto C. A. Dalla Chiesa rilasciò a Giorgio Bocca la sua prima ed ultima intervista; al giornalista denunciò il suo isolamento, la mancata attribuzione dei poteri promessi, i sospetti sugli intrecci mafia-politica. Qualche giorno dopo la Cupola di Cosa nostra decise di eliminare il prefetto. Al 31 Agosto i morti ammazzati a Palermo superarono quota 100. Rognoni dichiarò in seguito di aver fissato proprio per il 3 Settembre una riunione dei prefetti per conferire a Dalla Chiesa questi poteri; tale riunione fu rimandata al 7 per un impegno in sede europea del ministro. Tornando a quella fatale sera d'inizio Settembre, Dalla Chiesa fece appena in tempo a fare da scudo alla moglie poi arrivarono i colpi, mortali anche se la macchina fosse stata blindata. Infatti l'AK-47 Kalashnikov, soprannominato da Nino Madonia ‘pocket coffee′, era/è in grado di forare perfino una vetrina corazzata. I Corleonesi, l'avevano usato per la prima volta contro Stefano Bontate, il ‘Principe di Villagrazia′. Il secondo nella lista era Salvatore Inzerillo, ma questi si era nel frattempo munito di un'Alfetta 2000 blindata... La notte fra il 10 e 11 Maggio Scarpuzzedda e G. Lucchese provarono i micidiali AK-47 sulle vetrate della gioielleria Contino; i devastanti proiettili 7,62 superarono l'esame ¦fonte¦. Per la cronaca, ‘Totuccio′ fu ucciso la mattina dopo mentre usciva dalla casa dell'amante; non fece in tempo né a impugnare la sua 357 Magnum né a montare nell'Alfetta perchè fu falciato dai fucili mitragliatori. Ritornando alle 21:15 del 3 Settembre 1982 in via Carini, il killer che aveva colpito Domenico Russo, Scarpuzzedda, scese dalla moto e sparò una raffica al volto di Dalla Chiesa solo per sfigurarlo. Dice che il giovane sicario in seguito venne quasi alle mani con Antonino Madonia, colui che effettivamente sparò all'A112. A suo dire gli era stato tolto l'onore di uccidere il generale... Alle 21:30 la polizia scientifica trovò sulle gambe del prefetto, morto da nemmeno un quarto d'ora, una cartella di cuoio con dentro delle carte. Altri fogli legati da un elastico sono rinvenuti sotto il sedile lato guida[così è scritto sul verbale redatto la sera stessa]. Nando Dalla Chiesa confermerà che in quella cartella, da cui suo padre non si separava mai, c'erano solo carte; inoltre nessuno li avvertì del loro ritrovamento fino al Febbraio 2013. Come succedeva per i delitti di mafia i mezzi usati furono dati alle fiamme per cancellare ogni indizio; infatti alle 22 una moto Suzuki ed una Bmw vennero ritrovati bruciate ad un chilometro di distanza. Più o meno alla stessa ora investigatori del Sisde si presentarono a Villa Payno dicendo di dover prendere alcune lenzuola per coprire le salme. A quanto riferito nel 2012 da un anonimo i servizi segreti organizzarono una vera e propria caccia "a tappeto" della carte del Generale: oltre Villa Payno fu rovistata anche la villa di famiglia a Prata, in Campania; così sparirono due cassette contenenti le lettere private del generale alla prima moglie nel periodo 1949-1950. Alcune di queste sono state poi trovate negli anni Duemila a Roma in bancarelle di mercatino, e anche all'asta! Curiosamente la chiave della cassaforte, dove c'erano documenti della serie "ho messo nero su bianco" — come confidato alla moglie — sparì. Infatti i familiari quando provarono a cercarla, la mattina del 4, non ritrovarono fino... Quasi d'incanto, il pomeriggio dell'11, venne rinvenuta dentro un cassetto precedentemente  vuoto; accanto c'era un biglietto con scritto C. DELLA CASSAFORTE.  Nella cassaforte situata in camera da letto venne rinvenuta solo una cassetta vuota [!]. Intanto i verbali della Scientifica relativi all'eccidio di via Carini furono trasmessi dalla squadra Mobile alla Procura della Repubblica di Palermo. Dai controlli effettuati nel 2013, dopo la segnalazione di un anonimo, la lettera risultò essere spedita il 6 Settembre. Curiosamente nella missiva non si fa cenno né alle carte contenute nella cartella di cuoio e nemmeno a quelle trovate sotto il lato di guida dell'A112. Inoltre non è dato a sapersi i passaggi del portadocumenti di Dalla Chiesa: infatti nel bunker dei "corpi del reato" al tribunale è risultato vuoto! L'anonimo, sicuramente ben informato, accenna che il contenuto di valigetta fu preso in consegna da un ufficiale dei carabinieri in servizio a Palermo. I due AK-47 vennero in seguito riconosciuti dai magistrati del pool come l'arma di molti "delitti eccellenti". Solo dopo anni fu ricostruita la composizione del commando che compì l'eccidio di via Carini: per l'appunto Scarpuzzedda, ‘Nino′ Madonia, Mario Mariuzzu Prestifilippo, Vincenzo Galatolo, Giuseppe Lucchese, Raffaele Ganci. Pino Greco è scomparso a Palermo nel Settembre 1985 all'età di 33 anni, vittima della lupara. Il feroce sicario per i suoi servigi aveva ottenuto il mandamento di Ciaculli ed era nella commissione dal 1979. Ma secondo il ‘capo dei capi’ Salvatore Riina stava organizzando un suo gruppo di fuoco, in più non teneva in ordine la borgata e aveva dei traffici illeciti senza permesso. Sentendo che tirava una brutta aria, Greco si rifugiò in una villa fra tra Misilmeri e Bagheria. Lo tradì e l'uccise Giuseppe Lucchese che Scarpuzzedda considerava un fratello perché avevano "lavorato" sempre insieme. Il corpo di Giuseppe Greco non è mai stato trovato, probabilmente è stato sciolto nell'acido, bruciato sulla graticola, buttato in mare con peso ai piedi o dato in pasto ai maiali. Al maxiprocesso, terminato con le sentenze pronunciate il 16.12.1987, fu condannato in contumacia all'ergastolo per almeno 58 omicidi. Sicuramente erano molti di più, fra questi: il tenente colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo (a Ficuzza il 20.08.1977), Pio La Torre (30.04.1982), la strage della circonvallazione (16.06.1982), Calogero ‘Lillo′ Zucchetto (14.11.1982), la strage di via Federico Pipitone (29.07.1983), Antonino ‘Ninni′ Cassarà (06.08.1985). Mario Prestifilippo fu ucciso in un agguato in una strada che da Bagheria porta verso le colline di Baucina la sera del 29 Settembre 1987. Mentre era su una Vespa si trovò un commando di almeno dieci persone ad aspettarlo; questi lo falciarono con un'ottantina di colpi di pistola, lupara e fucile da caccia grossa. Naturalmente morì all'istante senza riuscire a prendere la sua Smith & Wesson calibro 38 che teneva sotto il giubbotto; aveva 29 anni. Gli inquirenti lo riconobbero dalle impronti digitali perchè il viso era stato straziato da un colpo di lupara. I tre "uomini di onore" di quel commando che assassinò Dalla Chiesa sono stati condannati all'ergastolo, pena confermata anche in Cassazione. Il 4 Aprile 1996 Giovanni Paolo II accolse la rinuncia di Pappalardo all'Arcidiocesi di Palermo per raggiunti limiti d'età. Il cardinale, lo era dal 05.03.1973, quindi si ritirò; si spense il il 10 Dicembre 2006 all'età di 88 anni. Il 2 Marzo 2007 il ministro della Giustizia Clemente Mastella, su richiesta della Procura di Palermo, ha firmato il decreto che ripristina il 41-bis per Antonino 'Nino' Madonia. Quarantotto ore prima l'uomo (ex? reggente del mandamento di Resuttana-San Lorenzo a Palermo), già condannato in via definitiva all'ergastolo, aveva ottenuto la revoca del regime di "carcere duro". Infatti il tribunale di sorveglianza di Torino ne aveva accolto il ricorso. Il detenuto è stato poi trasferito dal carcere di Novara a quello di Rebibbia; il tribunale di sorveglianza della Capitale in risposta all'ennesimo ricorso ha ribadito la pericolosità del detenuto. Il 20 Febbraio 2008 la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio il 41-bis a Madonia perché <<la prova [che il detenuto avesse collegamenti con il territorio e l'organizzazione mafiosa] è fino al 2006>>. Il tribunale di sorveglianza di Roma su istanza dell'avvocato difensore si è dovuto adeguare e così dal 2 Luglio 2008 Madonia è tornato al regime carcerario ordinario. Dal 1983 l'A112 crivellata di colpi è conservata al Museo storico di Voghera. Fino al 2002 lo Stato esigeva il pagamento del bollo di circa 180.000 lire altrimenti sarebbero stati distrutte le targhe e il libretto. L'auto era stata donata al museo dalla madre di Emanuela Setti Carraro. Solo il 7 Gennaio 2002 l'A112 è stata riconosciuta <<auto storica>> e quindi esentata per sempre dalla tassa di circolazione.  P.S. del 17.11.2017  Salvatore ‘U curtu’ Riina è morto nel reparto detentivo dell'ospedale di Parma; aveva compiuto 87 anni il giorno prima.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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